ADDRESS of POPE FRANCIS
to the
PASTORAL CONGRESS
of the
DIOCESE of ROME
June 16, 2016
 

 


Address at the Opening of the Ecclesial Convention of the Diocese of Rome
with Pope Francis in the Basilica of St. John Lateran, 16/06/2016


  ELDERS DREAM;    INVALID MARRIAGES;   COHABITING FIDELITY


The Italian text and English transl. are from the Vatican Web Site:
http://w2.vatican.va/content/francesco/en/speeches/2016/june/documents/papa-francesco_20160616_convegno-diocesi-roma.html

Apertura del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma con Papa Francesco nella Basilica di San Giovanni in Laterano, 16.06.2016


ADDRESS OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS 
AT THE OPENING OF THE PASTORAL CONGRESS OF THE DIOCESE OF ROME.
Basilica of Saint John Lateran,
Thursday, 16 June 2016

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL’APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA. Basilica di San Giovanni in Laterano Giovedì, 16 giugno 2016

GOOD evening!

Buona sera!

The five naves are full! Good! One can see you are ready to work.

Le cinque navate piene. Bene! Si vede che c’è voglia di lavorare.

The joy of love: the journey of the families of Rome” is the theme of your Diocesan Conference. I shall not begin by speaking of the Exhortation, since you will make it a topic of study in the various working groups. I should like to review along with you a few ideas/key-tensions that emerged during the course of the Synod, which can help us to better understand the spirit that is reflected in the Exhortation. It is a Document that can direct your reflections and your dialogue, and thus offer “help and encouragement to families in their daily commitments and challenges” (Apostolic Exhortation Amoris Laetitia, n. 4). I should like to present several ideas/key-tensions with three biblical images that allow us to make contact with the Spirit who passed through in the discernment of the Synod Fathers. Three Bible images.

La letizia dell’amore: il cammino delle famiglie a Roma”: questo è il tema del vostro Convegno diocesano. Non inizierò parlando dell’Esortazione, dal momento che ne farete oggetto di esame in diversi gruppi di lavoro. Vorrei recuperare insieme a voi alcune idee/tensioni-chiave emerse durante il cammino sinodale, che ci possono aiutare a comprendere meglio lo spirito che si riflette nell’Esortazione. Un Documento che possa orientare le vostre riflessioni e i vostri dialoghi, e così «arrechi coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro impegno e nelle loro difficoltà» (AL, 4). E questa presentazione di alcune idee/tensioni-chiave, mi piacerebbe farla con tre immagini bibliche che ci permettano di prendere contatto con il passaggio dello Spirito nel discernimento dei Padri Sinodali. Tre immagini bibliche.

 

 

1. “Put off your shoes from your feet, for the place on which you are standing is holy ground(Ex 3:5). This was God’s invitation to Moses before the burning bush. The land to be crossed, the themes to be addressed in the Synod, needed a certain attitude. It was not a matter of analyzing just any topic; we were not facing just any situation. We had before us the real faces of many families. I knew that, in some of the working groups, during the Synod, the Synod Fathers spoke of their own family reality. This giving a face to the themes — so to speak — required, and requires, a climate of respect that helps us to listen to what God is telling us within our situations. Not a diplomatic or politically correct respect, but a respect laden with concern and honest questions for the authentic care of those whom we are called to tend. How it helps to give a face to the topics! And how it helps to notice that behind the paper there is a face, how it helps! It frees us from rushing to reach conclusions that are well formulated but often lack life; it frees us from speaking in the abstract, in order to enable us to draw near and deal with real people. It protects us from ideologizing the faith through systems that are well designed but overlook Grace. So often we become Pelagians! One can do this only in a climate of faith. It is faith that impels us not to grow weary of seeking God’s presence in the changes of history.

1. «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo» (Es 3,5). Questo fu l’invito di Dio a Mosè davanti al roveto ardente. Il terreno da attraversare, i temi da affrontare nel Sinodo, avevano bisogno di un determinato atteggiamento. Non si trattava di analizzare un argomento qualsiasi; non stavamo di fronte a una situazione qualsiasi. Avevamo davanti i volti concreti di tante famiglie. E ho saputo che, in alcuni gruppi di lavoro, durante il Sinodo, i Padri sinodali hanno condiviso la propria realtà familiare. Questo dare volto ai temi – per così dire – esigeva, ed esige, un clima di rispetto capace di aiutarci ad ascoltare quello che Dio ci sta dicendo all’interno delle nostre situazioni. Non un rispetto diplomatico o politicamente corretto, ma un rispetto carico di preoccupazioni e domande oneste che miravano alla cura delle vite che siamo chiamati a pascere. Come aiuta dare volto ai temi! E come aiuta accorgersi che dietro le carte c’è un volto, come aiuta! Ci libera dall’affrettarci per ottenere conclusioni ben formulate ma molte volte carenti di vita; ci libera dal parlare in astratto, per poterci avvicinare e impegnarci con persone concrete. Ci protegge dall’ideologizzare la fede mediante sistemi ben architettati ma che ignorano la grazia. Tante volte diventiamo pelagiani! E questo, si può fare soltanto in un clima di fede. È la fede che ci spinge a non stancarci di cercare la presenza di Dio nei cambiamenti della storia.

Each of us has had a family experience. In some cases Grace is rendered more easily than in others, but everyone has lived this experience. In that context, God has come to meet us. His Word has come to us not in a series of abstract theories, but as a travelling companion that has supported us amid suffering, has enlivened us in celebration and has always indicated to us the the aim of the journey (AL, n. 22). This reminds us that our families, the families in our parishes with their faces, their stories, with all their complications are not a problem, they are an opportunity that God places before us. An opportunity that challenges us to generate a missionary creativity capable of embracing every practical situation, in our case, of Rome’s families. Not only those that come or that are in the parishes — this would be easy, more or less —, but being able to go to the families of our districts, to those who do not come. This encounter challenges us not to consider anything or anyone lost, but to seek, to renew the hope of knowing that God continues to act within our families. It challenges us not to abandon anyone for not being up to what is asked of him or her. This compels us to go beyond the declaration of principles so as to enter into the beating heart of Rome’s neighbourhoods and, as artisans, setting ourselves to mould God’s dream in this reality, something that can be done only by people of faith, those who do not close access to the action of the Spirit, and who get their hands dirty. Reflecting on the life our families, as they are and as they are found, asks that we take off our shoes in order to discover God’s presence. This is the first Bible image. Go: there is God, there. God who enlivens, God who lives, God who was crucified..., but he is God.

Ognuno di noi ha avuto un’esperienza di famiglia. In alcuni casi sgorga il rendimento di grazie con maggior facilità che in altri, ma tutti abbiamo vissuto questa esperienza. In quel contesto, Dio ci è venuto incontro. La sua Parola è venuta a noi non come una sequenza di tesi astratte, ma come una compagna di viaggio che ci ha sostenuto in mezzo al dolore, ci ha animato nella festa e ci ha sempre indicato la meta del cammino (AL, 22). Questo ci ricorda che le nostre famiglie, le famiglie nelle nostre parrocchie con i loro volti, le loro storie, con tutte le loro complicazioni non sono un problema, sono una opportunità che Dio ci mette davanti. Opportunità che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane. Non solo di quelle che vengono o si trovano nelle parrocchie – questo sarebbe facile, più o meno –, ma poter arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, a quelli che non vengono. Questo incontro ci sfida a non dare niente e nessuno per perduto, ma a cercare, a rinnovare la speranza di sapere che Dio continua ad agire all’interno delle nostre famiglie. Ci sfida a non abbandonare nessuno perché non è all’altezza di quanto si chiede da lui. E questo ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito, e che si sporcano le mani. Riflettere sulla vita delle nostre famiglie, così come sono e così come si trovano, ci chiede di toglierci le scarpe per scoprire la presenza di Dio. Questa è una prima immagine biblica. Andare: c’è Dio, lì. Dio che anima, Dio che vive, Dio che è crocifisso… ma è Dio.

 

 

2. Now for the second biblical image. That of the Pharisee, when praying, he said to the Lord: “God, I thank thee that I am not like other men, extortioners, unjust, adulterers, or even like this tax collector(Lk 18:11). One of the temptations (cf. AL, n. 229) to which we are continually exposed is that of fostering a separatist logic. It is interesting. To protect ourselves, we think that we strengthen our identity and security each time that we distinguish or isolate ourselves from others, especially from those who are living with a different background. But identity does not depend on separation: identity is strengthened in belonging. My belonging to the Lord: this gives me identity. Not distancing myself from others because I think they do not “count”.

2. Ora la seconda immagine biblica. Quella del fariseo, quando pregando diceva al Signore: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano» (Lc 18,11). Una delle tentazioni (cfr AL, 229) alla quale siamo continuamente esposti è avere una logica separatista. E’ interessante. Per difenderci, crediamo di guadagnare in identità e in sicurezza ogni volta che ci differenziamo o ci isoliamo dagli altri, specialmente da quelli che stanno vivendo in una situazione diversa. Ma l’identità non si fa nella separazione: l’identità si fa nell’appartenenza. La mia appartenenza al Signore: questo mi dà identità. Non staccarmi dagli altri perché non mi “contagino”.

I think we must take an important step: we cannot analyze, reflect on, much less pray about reality as if we were on different shores or paths, as if we were outside of history. We all need to repent, we all need to place ourselves before the Lord and each time renew the covenant with Him and together say to the tax collector: My God, have mercy on me because I am a sinner! With this point of departure, we stay on the same “side” — not separated, included in the same side — and we place ourselves before the Lord in a contrite attitude of listening.

Considero necessario fare un passo importante: non possiamo analizzare, riflettere e ancor meno pregare sulla realtà come se noi fossimo su sponde o sentieri diversi, come se fossimo fuori dalla storia. Tutti abbiamo bisogno di convertirci, tutti abbiamo bisogno di porci davanti al Signore e rinnovare ogni volta l’alleanza con Lui e dire insieme al pubblicano: Dio mio, abbi pietà di me che sono un peccatore! Con questo punto di partenza, rimaniamo inclusi nella stessa “parte” – non staccati, inclusi nella stessa parte – e ci poniamo davanti al Signore con un atteggiamento di umiltà e di ascolto.

Rightly, to look at our families with the sensitivity with which God looks at them helps us to direct our consciences in the same way as his. The emphasis placed on mercy places reality before us in a realistic way, not, however, with just any realism, but with the realism of God. The analyses we make are important, they are necessary and help us to have a healthy realism. But nothing can compare to Gospel realism, which does not stop at describing the various situations, the problems — much less the sins — but which always goes a step further and is able to see an opportunity, a possibility behind every face, every story, every situation. Gospel realism is total concern for the other, for others, and does not create an obstacle out of the ideal and the “ought to be”, in order to encounter others in whatever situation they may be. It is not a matter of proposing the Gospel ideal, no, it is not about this. On the contrary, it invites us to live it within history, with all that it entails. This does not mean not being clear about doctrine, but avoids falling into judgmental attitudes that do not consider the complexity of life. Gospel realism is practical because it knows that “grain and weeds” grow together, and the best grain — in this life — will always be mixed with a few weeds. “I understand those who prefer a more rigorous pastoral care which leaves no room for confusion”, I understand them. “But I sincerely believe that Jesus wants a Church that is attentive to the goodness which the Holy Spirit sows in the midst of human weakness: a Mother who, while clearly expressing her objective teaching, “always does what good she can, even if she runs the risk of sullying her shoes with the mud of the road”. A Church able “to treat the weak with compassion, avoiding aggravation or unduly harsh or hasty judgements. The Gospel too tells us not to judge or condemn (cf. Mt 7:1; Lk 6:37)(AL, n. 308). And here I add a parenthesis. I came across — I expect you know it — the image of that capital in the Basilica of St Mary Magdalene in Vézelay, in the South of France, where the Camino de Santiago starts: on one side is Judas, hanged, with his tongue sticking out, and on the other side of the capital is Jesus the Good Shepherd who carries [Judas] on His shoulders, who takes him with Him. This is indeed a mystery. But these mediaeval people, who taught the catechesis with figures, understood the mystery of Judas. And Fr Primo Mazzolari gave a fine discourse, one Holy Thursday, on this, a beautiful discourse. He is a priest, not from this diocese, but from Italy. An Italian priest who really understood the complexity of the logic of the Gospel. And Jesus is the one who got his hands really dirty. Jesus got the most dirty. He was not a “fastidious” man, but he went to the people, among the people, and accepted the people as they were, not as they should have been. Let us return to the Bible image: “I thank you, Lord, that I belong to Catholic Action, or to this association, or to Caritas, or to this one or to that one..., and that I am not like those who live in the neighbourhoods and are thieves and delinquents and...”. This does not help the ministry!

Giustamente, guardare le nostre famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio ci aiuta a porre le nostre coscienze nella sua stessa direzione. L’accento posto sulla misericordia ci mette di fronte alla realtà in modo realistico, non però con un realismo qualsiasi, ma con il realismo di Dio. Le nostre analisi sono importanti, sono necessarie e ci aiuteranno ad avere un sano realismo. Ma nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità. Il realismo evangelico si impegna con l’altro, con gli altri e non fa degli ideali e del “dover essere” un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano. Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, no, non si tratta di questo. Al contrario, ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta. E questo non significa non essere chiari nella dottrina, ma evitare di cadere in giudizi e atteggiamenti che non assumono la complessità della vita. Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che “grano e zizzania” crescono assieme, e il miglior grano – in questa vita – sarà sempre mescolato con un po’ di zizzania. «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione», li comprendo. «Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”». Una Chiesa capace di «assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr Mt 7,1; Lc 6,37)» (AL, 308). E qui faccio una parentesi. Mi è venuta tra le mani – voi la conoscete sicuramente – l’immagine di quel capitello della Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, nel Sud della Francia, dove incomincia il Cammino di Santiago: da una parte c’è Giuda, impiccato, con la lingua di fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù Buon Pastore che lo porta sulle spalle, lo porta con sé. E’ un mistero, questo. Ma questi medievali, che insegnavano la catechesi con le figure, avevano capito il mistero di Giuda. E Don Primo Mazzolari ha un bel discorso, un Giovedì Santo, su questo, un bel discorso. E’ un prete non di questa diocesi, ma dell’Italia. Un prete dell’Italia che ha capito bene questa complessità della logica del Vangelo. E quello che si è sporcato di più le mani è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era uno “pulito”, ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere. Torniamo all’immagine biblica: “Ti ringrazio, Signore, perché sono dell’Azione Cattolica, o di questa associazione, o della Caritas, o di questo o di quello…, e non come questi che abitano nei quartieri e sono ladri e delinquenti e…”. Questo non aiuta la pastorale!

 

 

3. The third biblical image: The old men shall have prophetic dreams (cf. Joel 2:28). This was a prophecy that Joel made for the time of the Spirit. The old men shall have dreams and the young men shall see visions. With this third image I should like to underscore the importance that the Synod Fathers gave to the value of witness as the place in which one can find the dream of God and the life of men. In this prophecy we contemplate a binding reality: in the dreams of our elders often lies the possibility that our young people may have new visions, may once again have a future — I am thinking of the young people of Rome, of the outskirts of Rome —, that they may have a tomorrow, they may have hope. But if 40 percent of young people aged 25 and under do not have work, what hope can they have? Here in Rome. How can they find the way? They are two realities — the old and the young — that go together and that need one another and are bound together. It is beautiful to find spouses, couples, who in old age continue to seek each other, who look at each other, who look at each other, who continue to love the one of their choice. It is really beautiful to find “grandparents” who show on their faces, wrinkled by time, the joy that is born from having made a choice of love and for love. Many couples celebrating 50, 60 years of marriage come to Santa Marta, and also to the Wednesday Audiences, and I always embrace them and thank them for their witness, and I ask: “Which of you has had the most patience?”. They always say: “Both!”. At times, jokingly, one says: “I have!”, but then adds “No, no, it’s a joke”. Once there was such a beautiful response. I think that everyone thought so. There was a couple who had been married for 60 years who managed to express it: “We are still in love!”. How beautiful! Grandparents who bear witness. I always say: show that to the young people, who tire quickly, who after two or three years say: “I’m going back to Mamma”. Grandparents!

3. Terza immagine biblica: “Gli anziani faranno sogni profetici” (cfr Gl 3,1). Tale era una delle profezie di Gioele per il tempo dello Spirito. Gli anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni. Con questa terza immagine vorrei sottolineare l’importanza che i Padri sinodali hanno dato al valore della testimonianza come luogo in cui si può trovare il sogno di Dio e la vita degli uomini. In questa profezia contempliamo una realtà inderogabile: nei sogni dei nostri anziani molte volte risiede la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro –penso ai giovani di Roma, delle periferie di Roma –, abbiano un domani, abbiano una speranza. Ma se il 40% dei giovani dai 25 anni in giù non ha lavoro, quale speranza possono avere? Qui a Roma. Come trovare la strada? Sono due realtà – gli anziani e i giovani – che vanno assieme e che hanno bisogno l’una dell’altra e sono collegate. È bello trovare sposi, coppie, che da anziani continuano a cercarsi, a guardarsi; continuano a volersi bene e a scegliersi. È tanto bello trovare “nonni” che mostrano nei loro volti raggrinziti dal tempo la gioia che nasce dall’aver fatto una scelta d’amore e per amore. A Santa Marta vengono tante coppie che fanno 50, 60 anni di matrimonio, e anche nelle udienze del mercoledì, e io sempre li abbraccio e li ringrazio della testimonianza, e chiedo: “Chi di voi ha avuto più pazienza?”. E sempre dicono: “Tutti e due!”. A volte, scherzando, uno dice: “Io!”, ma poi dice: “No, no, è uno scherzo”. E una volta c’è stata una risposta tanto bella, credo che tutti lo pensavano ma c’è stata una coppia sposata da 60 anni che è riuscita a esprimerla: “Ancora siamo innamorati!”. Che bello! I nonni che danno testimonianza. E io sempre dico: fatelo vedere ai giovani, che si stancano presto, che dopo due o tre anni dicono: “Torno da mamma”. I nonni!

As a society, we have deprived our elderly of their voice — this is a current social sin! —, we have deprived them of their space; we have deprived them of the opportunity to recount to us their life, their stories, their experience. We have put them aside and thus we have lost the wealth of their wisdom. Discarding them, we discard the opportunity to make contact with the secret that has enabled them to go forward. We have deprived ourselves of the witness of spouses who have not only persevered in time, but who have preserved in their hearts the gratitude for all that they have experienced (cf. AL, n. 38).

Come società, abbiamo privato della loro voce i nostri anziani – questo è un peccato sociale attuale! –, li abbiamo privati del loro spazio; li abbiamo privati dell’opportunità di raccontarci la loro vita, le loro storie, le loro esperienze. Li abbiamo accantonati e così abbiamo perduto la ricchezza della loro saggezza. Scartandoli, scartiamo la possibilità di prendere contatto con il segreto che ha permesso loro di andare avanti. Ci siamo privati della testimonianza di coniugi che non solo hanno perseverato nel tempo, ma che conservano nel loro cuore la gratitudine per tutto ciò che hanno vissuto (cfr AL, 38).

This absence of examples, of witnesses, this lack of grandparents, of fathers able to tell their dreams, does not allow the younger generations to “see visions”. And they are at a standstill. It does not allow them to make plans, since the future creates insecurity, doubt, fear. Only the witness of our parents, seeing that it has been possible to fight for something that was worthwhile, will help them to lift their gaze. How can we expect young people to take up the challenge of family, of marriage as a gift, if they continually hear us say that it is a burden? If we want “visions”, let our grandparents share and tell us their dreams, so that we can have the prophecies for the future.

Questa mancanza di modelli, di testimonianze, questa mancanza di nonni, di padri capaci di narrare sogni non permette alle giovani generazioni di “avere visioni”. E rimangono fermi. Non permette loro di fare progetti, dal momento che il futuro genera insicurezza, sfiducia, paura. Solo la testimonianza dei nostri genitori, vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena, li aiuterà ad alzare lo sguardo. Come pretendiamo che i giovani vivano la sfida della famiglia, del matrimonio come un dono, se continuamente sentono dire da noi che è un peso? Se vogliamo “visioni”, lasciamo che i nostri nonni ci raccontino, che condividano i loro sogni, perché possiamo avere profezie del domani.

Here I would like to pause for a moment. This is the time to encourage grandparents to dream. We need the dreams of grandparents, and to listen to these dreams. Salvation springs from here. It was by no coincidence that when the Child Jesus was brought to the Temple he was welcomed by two “grandparents”, who recounted their dreams: that elderly man [Simeon] had “dreamed”, the Spirit had promised him that he would see the Lord. This is the time — and it is not a metaphor — this is the time in which grandparents must dream. It is important to encourage them to dream, to tell us something. They feel they are discarded, if not scorned. In pastoral programmes, we like to say: “This is the time for courage”, “this is the time of the laity”, “this is the time...”. But were I to say, this is the time of grandparents! “But Father, you are going backwards, you are pre-conciliar!”. It is the time of grandparents: may the grandparents dream, and the young will learn to prophesy, and to bring about with their own strength, with their imagination, with their work, the dreams of their grandparents. This is the time of grandparents. And on this I should really like you to pause in your reflections, I should be really pleased.

E qui vorrei fermarmi un momento. Questa è l’ora di incoraggiare i nonni a sognare. Abbiamo bisogno dei sogni dei nonni, e di ascoltare questi sogni. La salvezza viene da qui. Non a caso quando Gesù bambino viene portato al Tempio è accolto da due “nonni”, che avevano raccontato i loro sogni: quell’anziano [Simeone] aveva “sognato”, lo Spirito gli aveva promesso che avrebbe visto il Signore. Questa è l’ora – e non è una metafora – questa è l’ora in cui i nonni devono sognare. Bisogna spingerli a sognare, a dirci qualcosa. Loro si sentono scartati, quando non disprezzati. A noi piace, nei programmi pastorali, dire: “Questa è l’ora del coraggio”, “questa è l’ora dei laici”, “questa è l’ora…”. Ma se io dovessi dire, questa è l’ora dei nonni! “Ma, Padre, lei va indietro, lei è preconciliare!”. E’ l’ora dei nonni: che i nonni sognino, e i giovani impareranno a profetizzare, e a realizzare con la loro forza, con la loro immaginazione, con il loro lavoro, i sogni dei nonni. Questa è l’ora dei nonni. E su questo mi piacerebbe tanto che voi vi soffermaste nelle vostre riflessioni, mi piacerebbe tanto.

 

 

Three images, for reading Amoris Laetitia:

Tre immagini, per leggere l’Amoris laetitia:

 

 

1. The life of each person, the life of each family must be treated with much respect and much care. Especially when we reflect on these matters.

1. La vita di ogni persona, la vita di ogni famiglia dev’essere trattata con molto rispetto e molta cura. Specialmente quando riflettiamo su queste cose.

2. Let us take care not to set up a ghetto-like ministry.

2. Guardiamoci dal mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti.

3. Let us make room for the elderly so that they may dream once more.

3. Diamo spazio agli anziani perché tornino a sognare.

 

 

Three images which remind us that “faith does not remove us from the world, but draws us more deeply into it” (AL, n. 181). Not like the perfect and immaculate people who believe they know everything, but as people who know the love that God has for us (cf. 1 Jn 4:16). And with this trust, with this certainty, with much humility and respect, we want to draw closer to all our brothers and sisters so as to experience the joy of love in the family. With this trust we give up the ‘enclosures’ that “shelter us from the maelstrom of human misfortune, and instead to enter into the reality of other people’s lives and to know the power of tenderness” (AL, n. 308).

Tre immagini che ci ricordano come «la fede non ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso» (AL, 181). Non come quei perfetti e immacolati che credono di sapere tutto, ma come persone che hanno conosciuto l’amore che Dio ha per noi (cfr 1 Gv 4,16). E in tale fiducia, con tale certezza, con molta umiltà e rispetto, vogliamo avvicinarci a tutti i nostri fratelli per vivere la gioia dell’amore nella famiglia. Con tale fiducia rinunciamo ai “recinti” «che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza» (AL, 308).

This impels us to develop a family ministry designed to

welcome,

accompany,

discern and

integrate.

Questo ci impone di sviluppare una pastorale familiare capace  di

accogliere,

accompagnare,

discernere e

integrare.

A ministry that allows and makes possible the appropriate framework so that the life entrusted to us may find the support it needs in order to develop according to the dream — allow me to diminish — according to the dream of the “eldest”: according to the dream of God. Thank you. Una pastorale che permetta e renda possibile l’impalcatura adatta perché la vita a noi affidata trovi il sostegno di cui ha bisogno per svilupparsi secondo il sogno – permettetemi il riduzionismo – secondo il sogno del “più anziano”: secondo il sogno di Dio. Grazie.
   

 

 

After his address, Pope Francis answered three questions which emerged during the preparations for the conference and were posed by a priest and two catechists:

DOMANDE E RISPOSTE

Cardinale Vallini:

Adesso il Santo Padre ascolterà tre domande emerse dal cammino preparatorio del nostro Convegno. Il primo è don Giampiero Palmieri, parroco di San Frumenzio.

[FIRST QUESTION]

 

 In the Exhortation ‘Evangelii Gaudium‘, you say that the big problem today is “complacent yet covetous individualism”, and in ‘Amoris Laetitia’ you say that there is a need to create relationships among families. You use an expression that in Italian, has a rather bad ring to it: “the wider family”. A revolution of tenderness is needed. We too experience the virus of individualism in our communities. We need help to create this network of relations among families, capable of breaking closures and of finding our bearings.

Don Giampiero Palmieri:

Santità, buona sera. Nell’Esortazione Evangelii gaudium, Lei dice che il grande problema di oggi è l’ “individualismo comodo e avaro”; e in Amoris laetitia dice che bisogna creare reti di relazione tra le famiglie. Usa un’espressione che in italiano suona anche un po’ male: “la famiglia allargata”. Famiglia allargata, reti di relazioni tra famiglie, non solo nella Chiesa ma anche nella società, dove i più piccoli, i più poveri, le donne sole, gli anziani possano essere accolti. E’ necessaria una rivoluzione della tenerezza, una fraternità mistica. Ecco, anche noi sentiamo il virus dell’individualismo nelle nostre comunità; siamo anche noi figli di questo tempo. Allora abbiamo bisogno di un aiuto per creare questa rete di relazione tra le famiglie, capace di rompere la chiusura e di ritrovarsi. Questo, forse, può significare cambiare tante cose nelle nostre parrocchie, tante cose che forse con il tempo si sono sedimentate: ostilità, divisioni, vecchi risentimenti. Questa è la domanda.

 

 

It is true that individualism is like the axis of this culture. And this individualism has many names, so many names rooted in selfishness: always searching for oneself, not looking at others, not looking at other families.... Sometimes it reaches the point of true pastoral cruelty. For example, I am speaking of an experience that I learned about when I was in Buenos Aires: in a nearby diocese, several priests did not want to baptize the children of teen mothers. As if they were animals! And this is individualism. “No, we are perfect, this is the way”. It is an individualism that also seeks pleasure, it is hedonistic. I would say a word that is a bit harsh, but I say it between quotation marks: that “cursed wellbeing” that has done us a great deal of harm. Wellbeing. Today Italy has a terribly low birth rate: it is, I believe, below zero. This began with the culture of wellbeing, several decades ago.... I have met many families who would rather — please, don’t blame me, animal lovers, because I do not want to offend anyone — they would rather have two or three cats, a dog, instead of a child. Because having a child is not easy, and then, raising him or her.... But what becomes more of a challenge with a child is that you create a person who will become free. The dog, the cat, will give you affection, but a “programmed” affection, up to a certain point, not free. You have one, two, three, four children, and they will be free, and will have to go through life with life’s risks. This is the challenge that is frightening: freedom. Let us return to individualism: I think that we are afraid of freedom. Even in ministry: “What will be said if I do this?... Is it possible?...”. And we are afraid. You are afraid: take a risk! In the moment that you are there, and you must decide, take a risk! If you make a mistake, there is the confessor, there is the bishop, but take a risk! It is like that Pharisee: the ministry of clean hands, everything clean, everything in its place, all fine. But outside of this environment, how much misery, how much pain, how much poverty, how much opportunity for development is lacking! It is a hedonistic individualism, it is an individualism that is afraid of freedom. It is an individualism — I don’t know if Italian grammar allows it — I would say “confining”. It cages you in, it does not allow you to fly free. Then, yes, the wider family. It is true, it is a word that does not always have a good ring, but according to cultures; I wrote the Exhortation in Spanish.... I have met, for example, families....

Papa Francesco:

E’ vero che l’individualismo è come l’asse di questa cultura. E questo individualismo ha tanti nomi, tanti nomi di radice egoistica: cercano sempre sé stessi, non guardano l’altro, non guardano le altre famiglie… Si arriva, a volte, a vere crudeltà pastorali. Per esempio, parlo di un’esperienza che ho conosciuto quando ero a Buenos Aires: in una diocesi vicina, alcuni parroci non volevano battezzare i bambini delle ragazze-madri. Ma guarda! Come fossero animali. E questo è individualismo. “No, noi siamo i perfetti, questa è la strada…”. E’ un individualismo che cerca anche il piacere, è edonista. Starei per dire una parola un po’ forte, ma la dico tra virgolette: quel “maledetto benessere” che ci ha fatto tanto male. Il benessere. Oggi l’Italia ha un calo delle nascite terribile: è, credo, sotto zero. Ma questo è incominciato con quella cultura del benessere, da alcuni decenni… Ho conosciuto tante famiglie che preferivano – ma per favore, non accusatemi, gli animalisti, perché non voglio offendere nessuno – preferivano avere due o tre gatti, un cane invece di un figlio. Perché fare un figlio non è facile, e poi, portarlo avanti… Ma quello che più diventa una sfida con un figlio è che tu fai una persona che diventerà libera. Il cane, il gatto, ti daranno un affetto, ma un affetto “programmato”, fino a un certo punto, non libero. Tu hai uno, due, tre, quattro figli, e saranno liberi, e dovranno andare nella vita con i rischi della vita. Questa è la sfida che fa paura: la libertà. E torniamo all’individualismo: io credo che noi abbiamo paura della libertà. Anche nella pastorale: “Ma, cosa si dirà se faccio questo?... E si può?...”. E ha paura. “Ma tu hai paura: rischia! Nel momento in cui sei lì, e devi decidere, rischia! Se sbagli, c’è il confessore, c’è il vescovo, ma rischia! E’ come quel fariseo: la pastorale delle mani pulite, tutto pulito, tutto a posto, tutto bello. Ma fuori da questo ambiente, quanta miseria, quanto dolore, quanta povertà, quanta mancanza di opportunità di sviluppo! E’ un individualismo edonista, è un individualismo che ha paura della libertà. E’ un individualismo – non so se la grammatica italiana lo permette – direi “ingabbiante”: ti ingabbia, non ti lascia volare libero.

Just the other day, one or two weeks ago, a country’s ambassador came to present his letters of credence. There was the ambassador, the family and the woman who has done their housekeeping for many years: this is a wider family. This woman was part of the family: a single woman, and not only did they pay her well, they paid her legitimately, but when they had to go to the Pope to present credentials: “you come with us, because you are part of the family”. This is one example. This is giving a place to people. And among simple people, with the simplicity of the Gospel, that good simplicity, there are examples like this, of widening the family....

E poi, sì, la famiglia allargata. E’ vero, è una parola che non sempre suona bene, ma secondo le culture; io l’Esortazione l’ho scritta in spagnolo… Ho conosciuto, per esempio, famiglie… Proprio l’altro giorno, una settimana fa o due, è venuto a presentare le credenziali l’ambasciatore di un Paese. C’era l’ambasciatore, la famiglia e la signora che faceva le pulizie nella loro casa da tanti anni: questa è una famiglia allargata. E questa donna era della famiglia: una donna sola, e non solo la pagavano bene, la pagavano in regola, ma quando sono dovuti andare dal Papa a dare le credenziali: “tu vieni con noi, perché tu sei della famiglia”. E’ un esempio. Questo è dare posto alla gente. E fra la gente semplice, con la semplicità del Vangelo, quella semplicità buona, ci sono esempi così, di allargare la famiglia…

Then, the other key word that you said, beyond individualism, beyond the fear of freedom, beyond the attachment to pleasure, you said another word: tenderness. Once, in the Synod, this came out: “We have to make a revolution of tenderness”. Some Fathers — years ago — said: “But one cannot say this, it does not have a good ring to it”. But today we can say it: tenderness is missing, tenderness is lacking. To caress not only children, the sick, to caress everything, sinners.... There are good examples of tenderness.... Tenderness is a language that applies for the smallest, for those who have nothing: a child knows his father and mother through caresses, then the voice, but it is always tenderness. I enjoy hearing when the father or mother speaks baby talk to a child who is beginning to speak, even the father and mother pretend to be children....

E poi, l’altra parola-chiave che tu hai detto, oltre all’individualismo, alla paura della libertà e all’attaccamento al piacere, tu hai detto un’altra parola: la tenerezza. E’ la carezza di Dio, la tenerezza. Una volta, in un Sinodo, è uscito questo: “Dobbiamo fare la rivoluzione della tenerezza”. E alcuni Padri – anni fa – hanno detto: “Ma non si può dire questo, non suona bene”. Ma oggi lo possiamo dire: manca tenerezza, manca tenerezza. Accarezzare non solo i bambini, gli ammalati, accarezzare tutto, i peccatori… E ci sono esempi buoni, di tenerezza… La tenerezza è un linguaggio che vale per i più piccoli, per quelli che non hanno niente: un bambino conosce il papà e la mamma per le carezze, poi la voce, ma è sempre la tenerezza. E a me piace sentire quando il papà o la mamma parlano al bambino che incomincia a parlare, anche il papà e la mamma si fanno bambini [fa il verso], parlano così

[He makes a sound]

 

This is how they speak.... Everyone has seen it, it’s true. This is tenderness. It is lowering myself to another person’s level. It is the path that Jesus took. Jesus did not retain the privilege of being God: he emptied himself (cf. Phil 2:6-7). He spoke our language, he spoke with our gestures. The way of Jesus is the way of tenderness. Here: hedonism, the fear of freedom, this is precisely contemporary individualism. We have to go out through the way of tenderness, of listening, of supporting, without asking.... Yes, with this language, with this attitude, families grow: there is the small family, then the large family of friends or of those who come.... I do not know if I have answered, but I think so, this is what came to me.

… Tutti lo abbiamo visto, è vero. Questa è la tenerezza. E’ abbassarmi al livello dell’altro. E’ la strada che ha fatto Gesù. Gesù non ha ritenuto un privilegio essere Dio: si è abbassato (cfr Fil 2,6-7). E ha parlato la nostra lingua, ha parlato con i nostri gesti. E la strada di Gesù è la strada della tenerezza. Ecco: l’edonismo, la paura della libertà, questo è proprio individualismo contemporaneo. Bisogna uscire attraverso la strada della tenerezza, dell’ascolto, dell’accompagnare, senza chiedere… Sì, con questo linguaggio, con questo atteggiamento le famiglie crescono: c’è la piccola famiglia, poi la grande famiglia degli amici o di quelli che vengono… Non so se ho risposto, ma mi sembra, mi è venuto così.

 

 

[SECOND QUESTION]

We know that as Christian communities we do not want to renounce the radical demands of the Gospel of the family. How do we prevent a double morality from arising in our communities, one demanding and one permissive, one rigorist and one lax?

(Seconda domanda)

Santità buonasera, torno su un argomento che Lei ha già accennato. Noi sappiamo che come comunità cristiane non vogliamo rinunciare alle esigenze radicali del Vangelo della famiglia: il matrimonio come Sacramento, l’indissolubilità, la fedeltà del matrimonio; e, dall’altra parte, all’accoglienza piena di misericordia verso tutte le situazioni, anche quelle più difficili. Come evitare che nelle nostre comunità nasca una doppia morale, una esigente e una permissiva, una rigorista e una lassista?

 

 

Both are not truth: neither rigorism nor laxity are truth. The Gospel chooses another way. For this, those four words — welcome, support, integrate, discern — without nosing into people’s moral lives. For your tranquility, I must tell you that all that is written in the Exhortation — and I again take up the words of a great theologian who was the secretary of the Congregation for the Doctrine of the Faith, Cardinal Schönborn, who presented it — everything is Thomist, from beginning to end. It is the doctrine that is certain. But we often want the certain doctrine to have that mathematical certainty that does not exist, neither with laxity, lenience, nor with rigidity. Let us think of Jesus: the history is the same, it repeats. When Jesus spoke to the people, the people said: “He speaks not as our doctors of the law, but as one who has authority” (cf. Mk 1:22). Those doctors knew the law, and for each case they had a specific law, reaching about 600 precepts in the end. Everything was regulated, everything. The Lord — God’s anger is seen in Chapter 23 of Matthew, that Chapter is terrible — above all it made an impression on me when he speaks of the fourth Commandment and says: “You, who rather than give food to your elderly parents, tell them: ‘No, I made this promise, better the altar than you’, you are in contradiction” (cf. Mk 7:10-13).

Papa Francesco:

Entrambe non sono verità: né il rigorismo né il lassismo sono verità. Il Vangelo sceglie un’altra strada. Per questo, quelle quattro parole – accogliere, accompagnare, integrare, discernere – senza mettere il naso nella vita morale della gente. Per la vostra tranquillità, devo dirvi che tutto quello che è scritto nell’Esortazione – e riprendo le parole di un grande teologo che è stato segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Schönborn, che l’ha presentata – tutto è tomista, dall’inizio alla fine. E’ la dottrina sicura. Ma noi vogliamo, tante volte, che la dottrina sicura abbia quella sicurezza matematica che non esiste, né con il lassismo, di manica larga, né con la rigidità. Pensiamo a Gesù: la storia è la stessa, si ripete. Gesù, quando parlava alla gente, la gente diceva: “Costui parla non come i nostri dottori della legge, parla come uno che ha autorità” (cfr Mc 1,22). Quei dottori conoscevano la legge, e per ogni caso avevano una legge specifica, per arrivare alla fine a circa 600 precetti. Tutto regolato, tutto. E il Signore – l’ira di Dio io la vedo in quel capitolo 23 di Matteo, è terribile quel capitolo – soprattutto a me fa impressione quando parla del quarto comandamento e dice: “Voi, che invece di dare da mangiare ai vostri genitori anziani, dite loro: ‘No, ho fatto la promessa, è meglio l’altare che voi’, siete in contraddizione” (cfr Mc 7,10-13).

Jesus was like that, and he was condemned out of hatred, they always set pitfalls before him: “Can this be done or not?”. Let us consider the scene of the adulterous woman (cf. Jn 8:1-11). It is written: she must be stoned. It is the moral code. It is clear. Not rigid, this is not rigid, it is a clear moral code. She must be stoned. Why? For the sanctity of marriage, fidelity. Jesus is clear about this. The word is adultery. It is clear. And Jesus plays dumb, he lets some time pass, writes on the ground.... And then he says: “Begin: Let the first of you who is without sin throw the first stone”. Jesus sidestepped the law in that case. They went away, beginning with the eldest. “Woman, has no one condemned you? Neither do I”. What is the moral code? It was to stone her. But Jesus sidestepped, he sidestepped the moral code. This makes us think that one cannot speak of “rigidity”, of “certainty”, of being mathematical in morality, like the morality of the Gospel.

Gesù era così, ed è stato condannato per odio, gli mettevano sempre dei trabocchetti davanti: “Si può far questo o non si può?”. Pensiamo alla scena dell’adultera (cfr Gv 8,1-11). Sta scritto: dev’essere lapidata. E’ la morale. E’ chiara. E non rigida, questa non è rigida, è una morale chiara. Dev’essere lapidata. Perché? Per la sacralità del matrimonio, la fedeltà. Gesù in questo è chiaro. La parola è adulterio. E’ chiaro. E Gesù si fa un po’ il finto tonto, lascia passare il tempo, scrive per terra… E poi dice: “Incominciate: il primo di voi che non abbia peccato, scagli la prima pietra”. Ha mancato verso la legge, Gesù, in quel caso. Se ne sono andati via, incominciando dai più vecchi. “Donna, nessuno ti ha condannato? Neppure io”. La morale qual è? Era di lapidarla. Ma Gesù manca, ha mancato verso la morale. Questo ci fa pensare che non si può parlare della “rigidità”, della “sicurezza”, di essere matematico nella morale, come la morale del Vangelo.

Then, let us continue with the women: when that woman or maiden [the Samaritan (cf. Jn 4:1-27)], I do not know what she was, begins to give something of a “catechesis” and says: “Should we worship God on this mountain or on that one?”.... Jesus said to her: “And your husband?...”. — “I have none” — “You have spoken the truth”. Indeed, she won recognition, much “distinction”, as an adulteress.... Yet she was, before being forgiven, she was the “apostle” of Samaria. So what must we do? Let us go to the Gospel, let us go to Jesus! This does not mean throwing out the baby with the bath water, no, no. This means seeking the truth; and that morality is an act of love, always: loving God, loving neighbour. It is also an act that leaves room for the conversion of the other, it does not condemn immediately, it leaves room.

Poi, continuiamo con le donne: quando quella signora o signorina [la Samaritana, cfr Gv 4,1-27], non so cosa fosse, incominciò a fare un po’ la “catechista” e a dire: “Ma bisogna adorare Dio su questo monte o in quello?...”. Gesù le aveva detto: “E tuo marito?...” – “Non ne ho” – “Hai detto la verità”. E in effetti lei aveva tante medaglie di adulterio, tante “onorificenze”… Eppure è stata lei, prima di essere perdonata, è stata l’”apostolo” della Samaria. E allora come si deve fare? Andiamo al Vangelo, andiamo a Gesù! Questo non significa buttare l’acqua sporca con il bambino, no, no. Questo significa cercare la verità; e che la morale è un atto d’amore, sempre: amore a Dio, amore al prossimo. E’ anche un atto che lascia spazio alla conversione dell’altro, non condanna subito, lascia spazio.

Once — there are so many priests here, excuse me — my predecessor, no, another, Cardinal Aramburu, who died after my predecessor, when I was appointed archbishop, he gave me some advice: “When you see that a priest is wavering somewhat, sliding, call him and tell him: ‘Let’s talk a bit, they told me that you are in this situation, almost a double life, I don’t know...’; and you will see that that priest will begin to talk: ‘No, it isn’t true, no...’; you interrupt him and tell him: ‘Listen to me: go home, think about it, and come back within 15 days, and we’ll talk about it again’; and in those 15 days, that priest’ — so he told me — ‘will have had time to think, to rethink before Jesus and will return: ‘Yes, it’s true. Help me!’”. It always takes time. “But Father, that priest lived, and celebrated Mass, in mortal sin in those 15 days, so says morality, and what do you say?”. What is better? What was better? That the bishop had the generosity to give him 15 days to think it over, with the risk of celebrating Mass in mortal sin, is this better or the other thing, the rigid moral code? In regard to rigid morality, I will tell you a fact which I have witnessed myself. When we were in theology, the exam for hearing Confessions — “ad audiendas”, it was called — was in the third year, but we, those in the second year, had permission to go and observe in order to prepare ourselves; and one time, a classmate of ours, was given a case, of a person who went to confess, but a case so intricate, regarding the seventh commandment, “de justitia et jure”; but it was really such an otherworldly case...; and this classmate, who was an average person, told the professor: “But Father, you don’t find this in real life” — “Yes, but it is there in the books!”. I have seen this myself.

Una volta – ci sono tanti preti, qui, ma scusatemi – il mio predecessore, no, l’altro, il Cardinale Aramburu, che è morto dopo il mio predecessore, quando io sono stato nominato arcivescovo mi ha dato un consiglio: “Quando tu vedi che un sacerdote vacilla un po’, scivola, tu chiamalo e digli: ‘Parliamo un po’, mi hanno detto che tu sei in questa situazione, quasi di doppia vita, non so…’; e tu vedrai che quel sacerdote incomincia a dire: ‘No, non è vero, no…’; tu interrompilo e digli: ‘Ascoltami: vai a casa, pensaci, e torna tra quindici giorni, e ne riparliamo’; e in quei quindici giorni quel sacerdote – così mi diceva lui – aveva il tempo di pensare, ripensare davanti a Gesù e tornare: ‘Sì, è vero. Aiutami!’”. Sempre ci vuole tempo. “Ma, Padre, quel prete ha vissuto, e ha celebrato la Messa, in peccato mortale in quei quindici giorni, così dice la morale, e Lei cosa dice?”. Cosa è meglio? Cosa è stato meglio? Che il vescovo abbia avuto quella generosità di dargli quindici giorni per ripensarci, con il rischio di celebrare la Messa in peccato mortale, è meglio questo o l’altro, la morale rigida? E a proposito della morale rigida, vi dirò un fatto a cui ho assistito io stesso. Quando noi eravamo in teologia, l’esame per ascoltare le Confessioni – “ad audiendas”, si chiamava – si faceva al terzo anno, ma noi, quelli del secondo, avevamo il permesso di andare ad assistere per prepararci; e una volta, a un nostro compagno, è stato proposto un caso, di una persona che va a confessarsi, ma un caso così intricato, riguardo al settimo comandamento, “de justitia et jure”; ma era proprio un caso talmente irreale...; e questo compagno, che era una persona normale, disse al professore: “Ma, padre, questo nella vita non si trova” – “Sì, ma c’è nei libri!”. Questo l’ho visto io.

 

 

[THIRD QUESTION]

Wherever we go, today we hear talk of a marriage crisis. And so I wanted to ask you: What can we focus on today in order to educate young people about love, in particular way about sacramental marriage, to overcome their resistance, skepticism, disillusions, the fear of the definitive?

(Terza domanda)

Santità, buonasera. Dovunque andiamo, oggi sentiamo parlare di crisi del matrimonio. E allora Le volevo domandare: su cosa possiamo puntare oggi per educare i giovani all’amore, in particolar modo al matrimonio sacramentale, superando le loro resistenze, lo scetticismo, le disillusioni, la paura del definitivo? Grazie.

 

 

I’ll take the last word from you: we are also experiencing a culture of the provisional. I heard a bishop say, several months ago, that a young man, who had finished his university studies, a fine young man, introduced himself to the bishop and told him: “I want to become a priest, but for 10 years”. It is the culture of the provisional. This happens everywhere, even in priestly life, in religious life. The provisional. This is why a part [orig: the majority] of our sacramental marriages are null, because they [the spouses] say: “Yes, for a lifetime”, but they do not know what they are saying, because they have another culture. They say it, and they mean well, but they do not have the awareness. A woman in Buenos Aires once scolded me: “You priests are clever, because to become priests you study for eight years, and then, if things do not go well and the priest finds a young woman that he likes.... in the end you give him permission to get married and have a family. And we lay people, who have to make an indissoluble lifelong sacrament, they make us have four conferences, and this for a lifetime!”. To me, one of the problems is this: the preparation for marriage. Ti prendo l’ultima parola: noi viviamo anche una cultura del provvisorio. Un vescovo, ho sentito dire, alcuni mesi fa, che gli si è presentato un ragazzo che aveva finito gli studi universitari, un bravo giovane, e gli ha detto: “Io voglio diventare sacerdote, ma per dieci anni”. E’ la cultura del provvisorio. E questo succede dappertutto, anche nella vita sacerdotale, nella vita religiosa. Il provvisorio. E per questo una parte dei nostri matrimoni sacramentali sono nulli, perché loro [gli sposi] dicono: “Sì, per tutta la vita”, ma non sanno quello che dicono, perché hanno un’altra cultura. Lo dicono, e hanno la buona volontà, ma non hanno la consapevolezza. Una signora, una volta, a Buenos Aires, mi ha rimproverato: “Voi preti siete furbi, perché per diventare preti studiate otto anni, e poi, se le cose non vanno e il prete trova una ragazza che gli piace… alla fine gli date il permesso di sposarsi e fare una famiglia. E a noi laici, che dobbiamo fare il sacramento per tutta la vita e indissolubile, ci fanno fare quattro conferenze, e questo per tutta la vita!”. Per me, uno dei problemi, è questo: la preparazione al matrimonio
Then the issue is closely connected to social fact. I remember, I called — here in Italy, last year — I called a young man whom I met some time ago in Ciampino, and he was getting married. I called him and I asked him: “Your mother told me that you are getting married next month.... Where will it be?...”. — “We don’t know, because we are looking for a Church that is appropriate for my girlfriend’s dress.... Then we have so many things to do: the wedding favours, and then find a restaurant that isn’t too far away...”. These are the concerns! A social fact. How can we change this? I do not know. E poi la questione è molto legata al fatto sociale. Io ricordo, ho chiamato – qui in Italia, l’anno scorso – ho chiamato un ragazzo che avevo conosciuto tempo fa a Ciampino, e si sposava. L’ho chiamato e gli ho detto: “Mi ha detto tua mamma che ti sposerai il prossimo mese… Dove farai?…” – “Ma non sappiamo, perché stiamo cercando la chiesa che sia adatta al vestito della mia ragazza… E poi dobbiamo fare tante cose: le bomboniere, e poi cercare un ristorante che non sia lontano…”. Queste sono le preoccupazioni! Un fatto sociale. Come cambiare questo? Non so.
A social fact in Buenos Aires: I forbade performing religious marriages in Buenos Aires, in cases that we call “matrimonios de apuro”, “shotgun” [rushed] weddings, when a child is on the way. Now things are changing, but there is this: socially everything must be in order, a baby is coming, let’s get married. I forbade doing this, because they are not free, they are not free! Perhaps they love each other. And I have seen beautiful cases, in which then, after two or three years, they got married, and I saw them enter the church, dad, mom and baby, holding hands. But they really knew what they were doing. The marriage crisis is because people don’t know the sacrament, the beauty of the sacrament: they do not know what indissoluble means, they do not know that it is for a lifetime. It is difficult. Un fatto sociale a Buenos Aires: io ho proibito di fare matrimoni religiosi, a Buenos Aires, nei casi che noi chiamiamo “matrimonios de apuro”, matrimoni “di fretta” [riparatori], quando è in arrivo il bambino. Adesso stanno cambiando le cose, ma c’è questo: socialmente deve essere tutto in regola, arriva il bambino, facciamo il matrimonio. Io ho proibito di farlo, perché non sono liberi, non sono liberi! Forse si amano. E ho visto dei casi belli, in cui poi, dopo due-tre anni, si sono sposati, e li ho visti entrare in chiesa papà, mamma e bambino per mano. Ma sapevano bene quello che facevano. La crisi del matrimonio è perché non si sa cosa è il sacramento, la bellezza del sacramento: non si sa che è indissolubile, non si sa che è per tutta la vita. E’ difficile.
Another one of my experiences in Buenos Aires: the pastors, when they held preparation courses, there were always 12 or 13 couples, no more, they did not reach 30 people. The first question they asked: “How many of you are living together?”. The majority raised their hands. They prefer to live together, and this is a challenge, it calls for work. Not to say straight away: “Why don’t you get married in Church?”. No. Accompany them: wait and cultivate. And cultivate fidelity. Un’altra mia esperienza a Buenos Aires: i parroci, quando facevano i corsi di preparazione, c’erano sempre 12-13 coppie, non di più, non arrivare a 30 persone. La prima domanda che facevano: “Quanti di voi siete conviventi?”. La maggioranza alzava la mano. Preferiscono convivere, e questa è una sfida, chiede lavoro. Non dire subito: “Perché non ti sposi in chiesa?”. No. Accompagnarli: aspettare e far maturare. E fare maturare la fedeltà.
In the Argentine countryside, in the Northeastern region, there is a superstition: that couples have a child, they live together. In the countryside this happens. Then, when the child must go to school, they have a civil marriage. And then, as grandparents, they have a religious marriage. It is a superstition, because they say that having a religious wedding straight away scares the husband! We must also fight against these superstitions. Yet really, I say that I have seen a great deal of fidelity in these cohabiting couples, a great deal of fidelity; and I am certain that this is a true marriage, they have the grace of matrimony, precisely because of the fidelity that they have. But there are local superstitions. It is the most difficult ministry, that of marriage. Nella campagna argentina, nella zona del Nordest, c’è una superstizione: che i fidanzati hanno il figlio, convivono. In campagna succede questo. Poi, quando il figlio deve andare a scuola, fanno il matrimonio civile. E poi, da nonni, fanno il matrimonio religioso. E’ una superstizione, perché dicono che farlo subito religioso spaventa il marito! Dobbiamo lottare anche contro queste superstizioni. Eppure davvero dico che ho visto tanta fedeltà in queste convivenze, tanta fedeltà; e sono sicuro che questo è un matrimonio vero, hanno la grazia del matrimonio, proprio per la fedeltà che hanno. Ma ci sono superstizioni locali. E’ la pastorale più difficile, quella del matrimonio.
Then, peace in the family. Not only when they argue amongst themselves, and the advice is always not to let the day end without making peace, because the cold war of the following day is worse. It is worse, yes, it is worse. But when the relatives meddle, the in-laws, because it is not easy becoming a father-in-law or a mother-in-law! It is not easy. I heard something beautiful, that the women will enjoy: when a woman learns from the sonogram that she is pregnant with a boy, from that moment on she begins studying to become a mother-in-law! E poi, la pace nella famiglia. Non solo quando discutono tra loro, e il consiglio è sempre di non finire la giornata senza fare la pace, perché la guerra fredda del giorno dopo è peggio. E’ peggio, sì, è peggio. Ma quando si immischiano i parenti, i suoceri, perché non è facile diventare suocero o suocera! Non è facile. Ho sentito una cosa bella, che piacerà alle donne: quando una donna sente dall’ecografia che è incinta di un maschietto, da quel momento incomincia a studiare per diventare suocera!
I come back to what is serious: marriage preparation must be done with closeness, without getting scared, slowly. Many times, it is a journey of conversion. There are, there are young men and women who have a purity, a great love and they know what they are doing. But they are few. Today’s culture presents us these young people, they are good, and we must be close to them and accompany them, accompany them, until the moment of maturity. And there, may they make the sacrament, but joyfully, joyfully! It takes a lot of patience, a lot of patience. It is the same patience that is called for in the pastoral care of vocations. To listen to the same things, listen: the apostolate of the ear, listen, accompany.... Do not be afraid, please, do not be afraid. I do not know if I have responded, but I speak to you of my experience, of what I experienced as a parish priest. Torno sul serio: la preparazione al matrimonio, la si deve fare con vicinanza, senza spaventarsi, lentamente. E’ un cammino di conversione, tante volte. Ci sono, ci sono ragazzi e ragazze che hanno una purezza, un amore grande e sanno quello che fanno. Ma sono pochi. La cultura di oggi ci presenta questi ragazzi, sono buoni, e dobbiamo accostarci e accompagnarli, accompagnarli, fino al momento della maturità. E lì, che facciano il sacramento, ma gioiosi, gioiosi! Ci vuole tanta pazienza, tanta pazienza. E’ la stessa pazienza che ci vuole per la pastorale delle vocazioni. Ascoltare le stesse cose, ascoltare: l’apostolato dell’orecchio, ascoltare, accompagnare… Non spaventarsi, per favore, non spaventarsi. Non so se ho risposto, ma ti parlo della mia esperienza, di quello che ho vissuto come parroco.

 

Many thanks and pray for me

Grazie tante e pregate per me!
   
   

 

   
   

 

What Francis Forgets About Marriage


 


WHAT FRANCIS FORGETS
ABOUT MARRIAGE
by Edward Peters June 22, 2016
First Things

 

 


HOW can one square the beautiful ideal of marriage set out by Pope Francis in Amoris Laetitia with his bleak assessment of marriage in real life, which slipped out during a clergy conference last week? Only by avoiding one crucial point about marriage, namely, that it is fundamentally a contract.

Most contracts deal, of course, with narrowly defined activities, such as “fix my car” or “rent me this apartment.” In contrast, the marriage contract, upon the reciprocal expression of consent to its terms by a qualified man and woman, results in a complex and perduring state between those two persons (what modern canon law calls a “consortium of the whole of life”) and, if both spouses are baptized, in a sacrament that reflects the union of Christ with his Church. But whatever else marriage might be socially or spiritually, it is first a contract between two people.

Marriage has been described and defined in contract terms for thousands of years. The Church affirms that human beings are by nature suited to contract marriage, and she teaches that Christian couples can call upon the graces of the sacrament of Matrimony in living out the marriages they contract. Against such an ancient and affirming tradition, Francis’s assertion that “the great majority of our sacramental marriages are null” shocked both common sense and Catholic sensibility. It implied that the great majority of the world’s one billion Catholics (to say nothing of other Christians) failed to achieve the state of life that is most naturally suited to adults and failed to receive the sacrament that Christ established to assist them.

If one ignores, however, the contract-character of marriage and approaches it as a beautiful ideal, the pope’s assertion of rampant matrimonial nullity begins to make sense. How many marriages, Christian or otherwise, will ever achieve the goals described in Amoris? Surely not “the great majority.” Francis’s use of the canonical term “null” to describe millions of supposed pseudo-marriages implied a technical legal expertise that he does not possess—but his basic point was clear: The great majority of Christian marriages aren’t really marriages.

That this assertion was not a verbal slip, and that it likely grew out of an avoidance of the contract foundation of marriage, seems verified by another papal comment not yet expunged from the Vatican’s version of his remarks, namely, that many merely “cohabiting couples are in real marriages and have the graces of marriage.” And why not? If marriage is not a contract and requires no external inaugurating act (e.g., the wedding that marks the beginning of most marriages) why cannot marriage-ish qualities emerge between two cohabiting, so disposed, people over time? Are cohabiting people not capable of love and self-sacrifice? Do married couples have a monopoly on grace?

But however damaging it was to the urgent cause of clarity concerning marriage, the pope’s dark depiction of the state of Christian marriage seems to have resonated with not a few apparently sensible and seemingly informed people who, in face of falling wedding and climbing divorce figures, understandably worry about the future of marriage, both natural and sacramental.

Thinking that the pope has (or had before he changed the record of his remarks) given voice to their concerns—instead of, as I would argue, having aggravated the marriage crisis by confusing common marital problems with massive marital nullity—some folks (I limit my observations to the American Catholic scene) are chiming in with comments along the lines of “Hold on! Francis might be on to something. Many young people don’t understand that marriage is supposed to be for life” or “I have worked in marriage prep programs for several years and I’d say most people do not understand the permanence of marriage.” To these kinds of well-intentioned views let me offer two responses.

First, recall that the pope’s harsh evaluation of most Christian marriages was offered without restriction as to nationality or ethnicity, circumstances of the wedding, age of spouses, duration of relationship, and so on. His was as close to a “universal assertion” about Christian marriage as could be offered. Nevertheless universal assertions are not provable by appeal to particular examples and so one cannot verify Francis’s claim of a global marriage nullity crisis based on what one might have observed among a tiny portion of the world’s married or engaged couples in one part of one country. Not in a Church consisting of a billion-plus people living around the world, one can’t.

With unconscious self-centeredness, some who have observed troublesome attitudes toward marriage around them (i.e., among mostly middle-class, generally white, largely mal-catechized, media-saturated Americans) have extrapolated from those observations to conclude that the great majority of Christians in, say, France, Costa Rica, the Baltic States, and Nigeria, to name just four demographically distinguishable Christianized locales out of thousands, must be approaching marriage in the same way. That, to put it mildly, is one giant leap.

Second, and more importantly, assuming for the sake of argument, against a boatload of counter examples, that one has accurately observed (or correctly guessed) that fewer people marrying or married today “understand the permanence of marriage,” may I ask, so what, exactly?

The canonical norms on marriage (norms encapsulating two millennia of deep reflection on human nature and the doctrines of Christ) do not, repeat, not hold that “ignorance” about permanence in marriage, or a diminished appreciation of permanence therein, or some imperfection in one’s grasp of the concept of permanence itself, renders one’s marriage null. This must be clearly understood: In regard to permanence in marriage, there is no simple ignorance-equals-nullity line in canon law. To be sure, a link exists between ignorance about permanence of marriage and the nullity of marriage, but that link is not immediate; to result in nullity, this ignorance must “determine the will” (Canon 1099, etc.). This middle term in the nullity argument, omitted by Francis and overlooked by those who at first blush are taken with his comments, is absolutely vital for the cogency of the argument. It is not enough to show that one was “ignorant” about permanence in order to prove nullity. One must also show that said ignorance vitiated the will with which a marriage was attempted in order for that marriage to be declared null.

Only a careful assessment of the will at the time of the wedding might disclose a causal link between one’s ignorance about permanence in marriage and the nullity of one’s marrying under such ignorance. And if “consent” cases are generally more difficult to try than are “capacity” or “form” cases (and they are more difficult), “ignorance cases” are among the most difficult of consent cases. It is much easier to suggest “ignorance” than it is to prove canonically significant ignorance. Good canonists know this, even if too many influencers of Catholic opinion do not.

What can be said is this: It is pastorally reckless to suggest that ignorance about permanence in marriage is pandemic among the world’s Christians, and it is canonically impossible to argue that mere ignorance on this point renders any, let alone the great majority of, sacramental marriages invalid; it is logically wrong-headed to parlay one’s personal observations of certain marriage problems into verification of a global marriage crisis centered on those problems; and it is spiritually dangerous to take to heart such theories, especially if it leads to despair about marriage in general or sudden worries about the validity of one’s own marriage.

In short, human nature is not so easily frustrated and the Church’s sacraments are not so frequently null.

Edward Peters has doctoral degrees in canon and civil law. He served for more than ten years in American tribunals at first and second instance and now teaches canon law at Sacred Heart Major Seminary in Detroit.

 

 


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